FRAGILE, CAMMINO IN PUNTA DI PIEDI

IN ATTESA DI TORNARE A VOLARE

BIOGRAFIA

Veronica Mazzucchi nasce a Varese il 24 ottobre 1975.

All’età di 20 anni, dopo aver interrotto gli studi umanistici, si trasferisce in Inghilterra, dove comincia a lavorare per una piccola azienda di abbigliamento. Rientrata in Italia, decide di voler continuare la sua attività professionale nel settore “Moda” così, anche grazie alla conoscenza della lingua inglese, inizia a viaggiare molto.

 

Dal 2001 al 2004 (a seguito della sua prima visita nell’estate del 2001) si instaura tra l’artista e l’Isola di Capo Verde una connessione profonda, tanto da cominciare la stesura di un progetto di cooperazione che promuoverà anche attraverso l’arte.

In questi anni, da autodidatta, comincia a mettere su tela il suo grande amore per l'Africa: "Terra come sangue" sarà il leitmotiv del suo lavoro, che terminerà nel 2006, dopo una permanenza di tre mesi in Senegal.

Qui collabora alla realizzazione di un atelier per disabili, in un villaggio non molto lontano dalla città di Thiès. Ha modo di conoscere e frequentare alcuni artisti locali, di esercitarsi in alcune tecniche come l’utilizzo della sabbia e il batik.

 

Nel 2006 si tiene la sua prima mostra di pittura: le opere esposte ripercorrono il tempo trascorso nella terra d’Africa. Segue un periodo di silenzio artistico.

 

Veronica ricomincia a dipingere nel 2010, dopo aver intrapreso un percorso terapeutico, incluse sedute di arteterapia. Inizia così quello che l'artista definisce il suo secondo periodo, dove prende vita “La favola di Psiche e Soma”.

La produzione creativa è divenuta una ricerca continua, senza però rinunciare al suo valore autentico, ovvero efficace strumento di lettura delle continue relazioni emotive tra la sua vita e la patologia.

Ora lavora sia a livello pittorico che scultoreo su un'immagine del corpo che nasce dalla visione di anime e figure ferite, un'urgenza del fare arte che si manifesta nel suo segno e nella scelta dei materiali. Un’indagine profonda che si rivela come cura del corpo a partire dalla cura della mente.

I suoi “personaggi” sono in preda a continue trasformazioni. L’identità oscilla tra accettazione e rifiuto del sé, in netta scissione tra l'essenza corporea e la consapevolezza dell’interiorità.

Marcel Proust ne Alla ricerca del tempo perduto  diceva che si guarisce da una sofferenza solo a condizione di sperimentarla pienamente. È quello che fa Veronica Mazzucchi.

 

Ha partecipato a diverse mostre e soprattutto si è fatta portavoce di un progetto atto a promuovere le terapie culturali in ambito di malattie croniche, collaborando anche con diverse realtà ospedaliere di Varese e di Milano.

Ha collaborato inoltre con il laboratorio artistico “La Tana delle costruzioni” di Vedano Olona e con l’Associazione culturale Parentesi presso lo Spazio Lavit di Varese.

 

La sua formazione, cominciata nel 2010, prosegue ancora oggi con la frequentazione di corsi privati di disegno figurativo e scultura, presso studi di artisti residenti a Varese.

POETICA DELLE IMMAGINI

AMORE E PSICHE

La mia poetica nasce dalla visione di anime e corpi feriti.

Ferite profonde ma spesso invisibili all'occhio umano.

Ferite che trovano spazio per il loro racconto nel linguaggio dell'arte.

 

Mi piace parlare di Arte della Sofferenza per la Sofferenza

 che si esprime attraverso il linguaggio delle emozioni e dell'inconscio, deprivato da ogni convenzione e sovrastruttura così che si possa liberamente manifestare, dando forma al dolore che spesso viene taciuto per il timore di essere demonizzati.

 

Credo fortemente nella mia arte e nel suo valore sociale e terapeutico.

Arte come cura, come ricerca di equilibrio e benessere dell'individuo e della collettività.

L'uomo come unico rimedio dell'uomo si incontra nell’arte, terra senza confini e senza tempo, condividendo attimi di vita, fondendosi in una superiore unità per divenire nuova energia collettiva.

 

Arte della Sofferenza per la Sofferenza affinché crollino le paure,

affinché i timori divengano energia per camminare tutti insieme verso la guarigione, perché il benessere di ogni individuo è il benessere dell'intera comunità.

 

Veronica Mazzucchi, 2012

IL MIO CANTICO SUBLIME

Le antiche culture di Babilonia, rifacendosi al calendario solare ed astrologico, consideravano il mese di marzo il primo mese dell'anno. Il primo giorno era il 21. L'anno cominciava sotto il segno di Ariete. Il Fuoco.

 

Si annoverano nella tradizione dieci Cantici ma solo quello di Salomone ebbe l'onore di essere denominato il Cantico dei Cantici. Secondo la tradizione giudaica, Adamo pronunciò il primo Cantico nel Primo Sabato del Mondo, dal titolo: “Per il giorno di Sabato”.

Queste sono le ragioni per cui ho deciso di rappresentare “Il mio Cantico Sublime” nel mese di Marzo, nel giorno di Sabato.

 

Il mio Cantico vorrebbe essere la celebrazione della vita.

La Vita che trae le sue origini dall'incontro di Eros e Agape: una Vita che si riconosce attraverso il sentire l'antica pulsione, la creazione, l'origine.

Andando oltre l'interpretazione teologica e soprattutto quella puramente legata alla tradizione cristiana, ho voluto approfondire alcune mie visioni che ho trasferito nelle forme a me più care.

 

 Figure umane che cercano un equilibro attraverso la fusione: l'acqua (la donna) incontra la terra (l'uomo), rendendola fertile con la donazione di se stessa senza però rinunciare alla propria unicità.

L'uomo, di contro, l'accoglie in tutta la sua forza e la “contiene”.

 

L'Amore è la sublime ed eccitante esperienza del bello, fisico e spirituale.

L'Amore è ricerca della propria identità attraverso l'incontro e la fusione con l'altro. E' possesso e dono al tempo stesso.

L'Egoismo è illusione di salvezza; la Condivisione e l'Atto d'Amore rappresentano un'Umanità Liberata.

 

Veronica Mazzucchi, 2012

EXPERIOR - STRAORDINARIE IMPERFEZIONI

Dialogo tra Psiche e Soma

Dal Latino Expĕrĭor:

sperimentare, tentare, provare, mettere alla prova

fare esperienza, cercare di, sforzarsi

sapere, conoscere per esperienza, imparare a conoscere

ricorrere a

provare, soffrire, avere da sopportare

affrontare il giudizio del popolo

 

Esperienza: personale conoscenza acquisita attraverso l'osservazione della realtà e al compimento di gesti ripetuti che hanno come finalità l'elaborazione dell'osservazione stessa.

La relazione tra realtà, esperienza e rappresentazione è caratterizzata dalla reciproca influenza di questi tre elementi dove, oltre ad essere presente un “sapere incorporato”, esiste la sensibilità e la creatività soggettiva.

Qui dimora il mio gesto creativo: nell'atto di voler tentare, sperimentare, mettere alla prova il mio personale sentire, in presenza di immagini archetipiche che mi ossessionano, sperimentando la comprensione dell'imperfezione.

 

Sperimentare il Corpo Fisico per comprendere il Corpo Metafisico.

Ci relazioniamo all'altro attraverso il Corpo Fisico, portando il messaggio delle nostre esperienze che attraverso di esso si manifestano.

Il Corpo Fisico è la mappatura della nostra vita: esso è lo specchio della straordinaria e complessa natura metafisica.

Il Corpo Metafisico non ha confini visibili: esso si manifesta attraverso sistemi di pensiero e percezioni emotive: Psiche o Anima.

Quando il dialogo tra Corpo Fisico e Corpo Metafisico si fa complesso, alterando la comprensione reciproca, si origina una ferita, molto spesso appena percettibile o addirittura invisibile.

Così, attraverso la continua ricerca e rappresentazione di un corpo nudo, a volte dilaniato, e di volti come maschere decadenti,  cerco di ricostruire il rapporto tra mente e corpo, purificandolo dalle sovrastrutture, per poter così ritrovare un dialogo fatto di equilibri e sereni confronti.

 

La presa di coscienza dei nostri sistemi di pensiero e della nostra realtà emotiva ci permette di attraversare la vita abitando un corpo più consapevole e forte.

Il corpo non è dunque un mero strumento.

 

Veronica Mazzucchi, 2015

PER ASPERA AD ASTRA

Attraverso le asperità sino alle stelle

La via della virtù è irta di difficoltà, ma solo conoscendo il buio si può giungere alla luce.

Siamo fatti di luce e d’ombra: qui sulla terra cerchiamo di attraversare le nostre tenebre ricercando non nella perfezione, ma nell’equilibrio, uno stato di illuminazione e beatitudine.

 Questa è la mia ricerca: un continuo “lavoro” spirituale desideroso di comprendere e dare senso all’esistenza, un’indagine che si manifesta ed esprime attraverso i gesti che compio modellando la terra.

E’ un viaggio cominciato come racconto autobiografico. Una dimensione privata che è poi trascesa sino a voler rappresentare la condizione umana.

La nostra oggi è un’Umanità smarrita, che attraversa l’epoca del buio. Resistere è un atto di fede necessario per ricostruire, nonostante le paure, un nuovo umanesimo.

 

Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce;

su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata (dal Vangelo di Matteo: 4,16).

 

Veronica Mazzucchi, 2016

DOVE SEI UOMO?

“Adamo, dove sei?” (cfr Gen 3,9).

“Mi sono nascosto”

Finché questo avviene, finché l’uomo si negherà restando nascosto e rinnegherà a se stesso la Bellezza, la vita non può diventare Cammino verso la consapevolezza, verso il risveglio, la Risurrezione dell’Umanità Intera.

Per quanto grande possa essere il successo e il potere di un uomo, per quanto monumentale possa essere la sua opera, egli resterà nel buio finché non comprenderà il vero mistero della sua esistenza.

Partendo dal Mistero della Croce e della Resurrezione, la mia indagine trascende il senso esclusivamente Cristiano per abbracciare l’Umanità Tutta, raffigurata con l’immagine della donna, la Vita nel suo significato più elevato e universale, a rappresentare la visione di un’Umanità sospesa, immersa nelle tenebre, che attende di risvegliarsi.

L’Uomo si è smarrito e resistere è un atto di Fede, Speranza e Carità dove quest’ultima è intesa nel suo significato più ampio di compassione, empatia, amore e condivisione con l’altro.

Tutto questo si renderà necessario per ricostruire un nuovo Umanesimo, Il ritorno decisivo a se stessi, Uomini tra gli Uomini; il ritorno alla Luce per l’eternità.

“Questo mondo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano” (Benedetto XVI)

 

Fiat Lux

Veronica Mazzucchi, 2018

CUM PATIOR

Mettersi nella pelle dell'altro

Dal latino Cum (Insieme) Patior (patire), essere con l’altro nell’atto di soffrire.

Andare alla radice della parola vuol dire ricercare il significato originale delle azioni che compiamo; significa ricercare il nucleo della nostra esistenza che nell’etimo conserva la sua originale natura.

Le parole sono importanti, sono emozioni che diventano pensieri; pensieri che diventano azioni; azioni che diventano cultura; cultura che diventa società.

Le parole che usiamo definiscono il nostro comportamento.

CumPatior

Essere con l’altro nell’atto di esistere.

Non ha nulla a che vedere con il compatire, provare pena per l’altro, ma significa trovare un profondo e indicibile senso di umanità che accomuna le parti.

CumPatior ci rende tutti ugualmente fragili, tutti ugualmente scoperti e vulnerabili.

E’ un’intima e profonda comunione con l’essenza dell’altro senza giudizio morale.

E’ la manifestazione di una sublime forma di amore incondizionato dove l’altro non è più cosa al di fuori di noi ma parte di un unico grande e misterioso progetto.

 

Veronica Mazzucchi, 2019

DICONO DI LEI

"Chi sono io? Chi sono diventata? ... Ho aspettato un'eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa... qualcuno che dicesse 'Oggi ti amo tanto', come sarebbe bello, devo solo alzare la testa e il mondo sempre davanti ai miei occhi mi sale nel cuore ..." - da "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders E' autunno, nelle opere di Veronica Mazzucchi. Un preludio all'inverno. La pioggia non lava via il dolore dalla pelle, fragile crosta di roccia spaccata sotto la quale scorre il magma del sangue. Una pelle predestinata e contaminata dalla fine, che già accoglie sulla propria superficie il sole morente dell'ultimo giorno. E' il deserto. Un silenzio ovattato, fermo nella sua luce è il teatro di questi burattini che si contorcono lentamente e dolorosamente come creature ai margini di strade, una vita infinitesimale inconosciuta, come di certi batteri della cui esistenza si sa solo se visti attraverso il microscopio. Vermicolanti, eppure immote, un lento movimento nell'abbandono. Non consola il grembo materno, è un miraggio ingannevole, non scalda la sofferenza silente, privata, lontano dalle strade percorse da moltitudini di piedi distratti e distanti, indifferenti. La libertà è un volo bloccato da uno spazio chiuso, claustrofobico, una gabbia arrugginita dal tempo, l'edera ci cresce intorno, il legno si erode, il ferro arrugginisce, estruso dall'anima, a contatto con l'aria assume la forma dell'urlo. Già l'idea dell'amore è sofferenza, preclusa da un involucro che genera il dolore. Il cielo è lontano, l'azzurro è lontano, solo il rosso rimane: il sangue. Vorrebbe volare, ma è privo di un'ala. L'angelo è imbrattato di terra, è una spirale di fumo, si contorce, si indurisce di essenza impalpabile, è il fango della Creazione, un fango che forse ha perso Dio, cieco, nel vuoto. A volte intravvedi la struttura, labile e materica nello stesso tempo, stadio larvale di sofferenza, di bozzolo intimidito, pudico, che si nasconde come animale ferito. Se il corpo supera lo stadio di angelo ferito, l'ala mancante e la madre illusoria, il ventre rigonfio di dolore si affaccia titubante al flusso della vita e il corpo diviene carne. Ma subito l'autodistruzione emerge da profondità nascoste e il sangue vuole uscire, lacera la pelle, la carne, e nulla può ricostituirlo, la ferita è profonda. Il corpo si incrina. ... e con Veronica: "Fragile, cammino in punta di piedi in attesa di tornare a volare".

 

M. Elena Danelli

L’Approccio materico che Veronica Mazzucchi ha con la sua arte, è in realtà la dimensione che ha dato alla sua stessa vita, lasciando, come tutte le creature libere, che le scorresse addosso.

La sua arte è frutto di studio continuo: Arterapia, Disegno Figurato , storia dell’arte, mitologia, letteratura, cucina, musica;  di solitudine, e di ricerca continua.

Quando crea Veronica usa soprattutto le mani, entrando così in contatto fisico e mentale con quello che sta plasmando; per questa ragione, guardando le sue opere non è difficile credere di scorgervi un’anima. L’artista, senza presunzione, afferma che il contatto finale con ciò che ha appena creato ha qualcosa di simile al divino, quando “dona il soffio di vita”

Veronica Mazzuccchi è un’artista istintiva, il suo primo lavoro è nato spontaneamente: con alcuni carboncini da incenso ha trasferito sul retro di un armadio la mancanza di profumi, colori, sapori, generata dal “Mal d’Africa”, al ritorno da una straordinaria esperienza durata tre anni nell’Isola di Sal, a Capoverde, dove, seguendo un progetto di Cooperazione Turistica ancora in embrione, era entrata completamente in sintonia con il territorio e la gente. E’ iniziato così nel 2001, con una pittura influenzata dall’arte africana, dal maestro Picasso e da Amedeo Modigliani il suo primo periodo artistico.

Nel 2006 la sua prima mostra di pittura, seguita da un periodo di silenzio artistico.

Nel 2010 Veronica riprende a dipingere, dopo un anno di lavoro e di mostre soprattutto collettive scopre la scultura, traendo ispirazione da Medardo Rosso, Ettore Greco, e soprattutto Mitorai, che considera il suo Maestro. “Equilibri scomposti” la sua prima opera scultorea, trasmette quel senso di appartenenza di chi è finalmente nel suo elemento.

 La scultura diventa così il cuore dell’espressione artistica di Veronica, la pittura a cui, secondo l’artista  manca la terza dimensione, diverrà  elemento di completamento, e, come avremo occasione di vedere in questa mostra, sculture e quadri si parleranno fra loro, in un percorso allegorico;  dopo anni legati all’urgenza di fare arte, e ad un percorso artistico-terapeutico,  la sua creatività vive ora il momento di massima espressione.

Nella casa-atelier di Vedano Olona, dove Veronica vive e lavora, tutto parla di lei,  senza spazi vuoti ( le sculture, il cibo, i mobili, bulbi di fiori sui davanzali, versi autobiografici sul retro dei quadri) e di trasformazione continua. La sua ricerca artistica è come una sete che non si placa, dal rumore del ruscello dietro la casa, alle note  di pianoforte di Ludovico Einaudi, Erik Satie e JanThiersen in un crescendo di ispirazione che arriva al culmine quando trasferisce nelle sue opere, nel cibo e nei versi l’onda anomala del potere artistico che è in lei, così spontaneo e legato al suo stesso essere che non è inusuale scorgere parte del suo sguardo o della sua fisicità eterea in un’opera appena finita. Lei stessa dice: Rappresento “Me” attraverso i miti greci, nati per spiegare all’uomo  ciò che non comprendeva da sé.

Il titolo della mostra “Straordinarie Imperfezioni”, è voluto dall’artista, che sente ancora la sua arte imperfetta,  e trae da queste mancanze, appunto, straordinarie,  una nuova rinascita, un punto di partenza.

Veronica Mazzucchi è inoltre  Testimonial della Campagna per il riconoscimento della Fibromialgie come patologia, e delle terapie complementari ad essa legate.

 

Lorena D’Amato

TRAUM AM ENDE

La dimensione onirica nell’opera di Veronica Mazzucchi

 

Non è insolito, ormai, dover constatare come l’opera d’arte sconfini di continuo in settori e in ambiti un tempo preclusi. Un’apparente invasione di campo che sa rendere duttile la prestazione dell’artifex anche nella sua disorientante vocazione terapeutica. E se di θεραπεία si è abituati a trattare in ambito prettamente medico, l’opera di Veronica Mazzucchi intende mostrare un risvolto di ulteriore compimento. Una ricerca totalmente impostata sulla fisicità, caricando i corpi di torsioni, inviluppi, pose convulse, per raggiungere l’invisibile incrocio su cui si insiste da millenni. Corpo e anima che si desiderano e si respingono. La vita stessa è la parentesi inalterabile che lega queste due sostanze. Ma la dimensione terrestre, che i materiali pittorico e scultoreo evocano, sarà d’ora in avanti ricettacolo del suo disfacimento. Distrutte le catene che reggono ogni ovvietà visiva, l’operazione di scavo, come l’indagine a essa associata, si fanno invisibilmente propiziatorie. L’opera di Veronica Mazzucchi non ha bisogno di attese. Non si conclude là, dove lo sguardo arreso la coglie come un manufatto di grande intensità. Come nel mito platonico che descrive il risveglio di Er, l’ambizione è qui riassunta nel superamento. Il corpo è meticolosamente passato al setaccio. Ad attenderlo, un mattatoio da cui uscirà rigenerato. Non c’è suono, né odore. Ma la dislocazione visiva che sembra voler accontentare con un assetto chiaramente riconoscibile è sempre un rimando al viaggio, alla perdita della nozione di tempo misurabile. Un invito al sogno che deve destare il conflitto e risolverlo. Il sogno è la cerniera che pacifica i due regni, il nembo che dà respiro al deserto in fiamme. Immodesta ma pertinente, la confidenza dell’Anticlaudianus di Alano di Lilla. Natura può forgiare il corpo, mentre un lungo viaggio ammantato di peripezie e indugi potrà provvedere alla costituzione dell’anima. Il percorso redentivo conosce il sogno come in un antro nullificante: si smarrisce la regola della casualità, ogni ordine viene meno, perché si possa guardare al corpo spodestato, lacero, urtato e livido che tanto rinvia alle imprecazioni di Soutine e Modigliani. Il corpo centrato e pallido è sempre il punto di partenza, la leva che procede a sollevare. Se il corpo non prova vergogna e l’anima raccoglie la sfida, il terreno neutro, quello onirico e vivificante, è l’anticamera di ogni futura successione. Persino l’addestramento delle leggi di natura in La tempesta suggerisce a Prospero di affidare il gesto magico al traguardo onirico e sfuggente: «Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è circondata dal sonno». Così in Dafne (2013) Veronica Mazzucchi ricorda il delirio della trasfigurazione, lo spaesamento del corpo quando Oniro sopraggiunge a risolvere ogni ambiguità. Nelle tonalità predilette, si riscontrano le vertiginose arrampicate cromatiche di Kiefer, qui snellite e compattate in slavature opache. Mancano le macerie perché qui la vocazione è altamente protrettica. Il corpo si esprime con un rantolo. L’anima, invisibile, procede a recuperarlo. Proprio questo il significato ultimo della cromia che affida allo spaesamento del sogno gli arnesi per operare. La contorsione si risolve in taglio, affumicata e annerita con velature che non lasciano presagire alcuna chiarezza placida e assertiva. Là entra il sogno che devasta e conclude.

 

Manlio Della Serra

Veronica Mazzucchi lavora sia a livello pittorico che scultoreo su un’immagine dolente del corpo e dell’anima che nasce dalle sue problematiche personali, ma poi diventa “l’urgenza assoluta del fare arte”. Scultura in terracotta e disegno pittorico nel “non colore” (eseguito anche con fondi di caffè e china) in un contrastato rapporto tra mente e corporeità, purificato dalle sovrastrutture. Sono le infinite trasformazioni nel segno del dolore, come tanta contemporaneità così difficile porta a verificare. Per continuare a sviluppare significati e generare domande.

 

Fabrizia Buzio Negri

L’ENERGIA PRIMORDIALE

 

I lavori scultorei di Veronica Mazzucchi, provengono da lontano, dal suo vissuto, ma anche dalla sua continua ricerca per l’Altro, attraverso il proprio sentire e il proprio cuore. Le sue argille parlano di corpi straziati, di frammenti, tra cui teste, la parte più nobile della persona, anticamera dell’anima, e di realtà distrutte, lacerate o in decomposizione, tra cui Donna in croce e Golgota.

Il suo sentire cristiano le indica alcuni punti essenziali di tale ricerca, che vuole essere tesa al mistero dell’esistenza dell’uomo, al cammino che si deve intraprendere per avvicinarsi alla comprensione del senso della vita e del proprio Io, che non può prescindere dalla comprensione dell’Altro.

Le sue argille, sia in monocotture, sia con patine a freddo e a ingobbi, ci parlano di ferite e di dolori del corpo, di macerie, di una dimensione personale che diventa universale, quando pensiamo ai nostri giorni e alle migrazioni di intere popolazioni a livello mondiale che fuggono da carestie, guerre e soprusi. Il lavoro di Mazzucchi sembra dirci che è solo riscoprendo in noi le stesse fragilità, gli stessi dubbi e la stessa carenza di affetto di tutta una umanità smarrita, incerta e in bilico, che forse si potrà raggiungere una salvezza e con essa una nuova bellezza e un nuovo risveglio.

Fondamentale l’installazione CumPatior, vale a dire, essere con l’Altro nell’atto di soffrire, ma anche essere con l’Altro nell’atto di esistere. Il racconto che si evince dalle mostre di Mazzucchi è avvincente e corre su un fil rouge che vede al centro il suo interesse per il mistero della vita, del senso da dare alla nostra esistenza per raggiungere forse la via della virtù. E’ un viaggio che l’artista ci suggerisce di intraprendere insieme a lei, attraverso una nuova consapevolezza e un nuovo umanesimo, nonostante i dolori e le ferite di ogni stagione del nostro vivere.

“Attraverso le asperità sino alle stelle”, “Dove sei, uomo?”, “CumPatior”, ecco i suoi importanti lavori recenti, cui ha dedicato impegno e speranze. Come a ricordarci che l’importante è porsi delle domande, cercare, oltre le luci e le ombre della nostra esistenza.

 

Lorenzo Mortara

 

 

 

 

 

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